Il saltarello
«Il ballo caratteristico negli Stati Romani si chiama salterello o saltarello. (...) Di solito si balla in due, al suono della chitarra o del tamburo. (...) E' una scena completa di dichiarazione d'amore. Saltando e girando l'uno intorno all'altro, i ballerini esprimono uno per volta la passione che fingono di avere, il desiderio di piacere, la gioia o il dispiacere, la gelosia e la speranza; infine il ballerino mette un ginocchio per terra per commuovere la sua cara, che si avvicina a lui progressivamente, sempre ballando; quando lei s'inchina con un sorriso, come per chiedere un bacio, l'amante si rialza trionfante e qualche salto vivo e leggero conclude la pantomima. (...)»
Così descriveva la danza popolare allora più ballata a Roma Antoine Jean Baptiste Thomas, un giovane incisore francese che soggiornò a Roma dal novembre del 1816 al dicembre del 1918, il quale, nel suo Un an à Rome et dans ses environs (Parigi 1823), ritrasse in modo attento e partecipe più d'un momento della vita popolare romana.
Caratteristica del saltarello, che era comunque una danza d'improvvisazione, era il passo saltato o bilanciato, eseguito saltando ora su un piede ora sull'altro, sul posto o spostandosi in avanti o indietro oppure girando su se stessi. I passi si susseguivano serrati e frequenti. Unica figura obbligata il salto, che di tanto in tanto veniva eseguito più vivacemente e sottolineato da un colpo più deciso del tamburello.
La danza comprendeva continui movimenti, oltre che con i piedi, con le braccia: alzate in alto, con le mani sui fianchi, prendendo il grembiule (per la donna) con una mano o agitandolo disteso davanti a sé con le due mani. A Roma i ballerini danzavano separati, nella campagna romana ballavano invece affiancati, appoggiando il braccio interno l'uno sulla spalla dell'altro oppure intrecciando le braccia dietro il corpo. Il saltarello si ballava nelle osterie e all'aperto, in qualunque ora del giorno ed in ogni stagione.
Françoise Pinelli (pseudonimo di Bartolomeo) (1781-1835)