Simcha Shirman, Whose Spoon Is It?
I musei civici di Roma e la memoria attraverso l’arte.
Simcha Shirman
Whose Spoon Is It? S.S. 470430-110927, 2011. Photo © Sicha Shirman
Il fotografo israeliano è noto per connettere la rappresentazione del visibile a un concetto mentale dell’interpretazione della realtà. Così come l’uso del bianco e nero, lontano dalle convenzioni della fotografia contemporanea, permette alle sue opere di approdare ad una dimensione filosofica. Un processo che viene declinato dall’artista anche per i suoi numerosi lavori dedicati al tema della Shoah e della memoria.
In questo caso l’artista ci presenta un cucchiaio nella sua essenzialità. I segni che lo solcano ci fanno capire che è stato usato ma non ne conosciamo la storia perché ci viene mostrato su un tagliere, decontestualizzato da ogni riferimento ambientale. L’oggetto immortalato viene dunque trasposto in una dimensione soggettiva che non può prescindere dal significato iconologico che ciascuno di noi gli attribuisce.
Simcha Shirman (Germania, 1947). Nato da genitori sopravvissuti alla Shoah nel convento di Saint Ottilien, convertito dalle autorità di occupazione statunitensi in un ospedale per soldati e rifugiati. La famiglia emigrò in Israele nel maggio 1948 e si stabilì nella città di Acri.
Shirman è un artista e fotografo israeliano attivo dagli anni Settanta, ha esposto in numerose mostre personali, tra le quali: Photographs, MFA exhibition, Pratt Institute Gallery, New York, 1978; The Unseen Borders, The First Johannesburg Biennale, South Africa, 1995-1996; From the Wandering of the One – Armed Rider, S.S. 470430-920430, Camerawork, San Francisco, 1994; Living in the Shade, Tel Aviv, 2004; Il corpo è il desiderio. Fotografie di Simcha Shirman, Istituto Superiore di Fotografia, Roma, 2007. Nel 1999 è stato chiamato ad allestire, con un proprio progetto site specific, il padiglione israeliano nell’ambito della 48° Biennale di Venezia. Le sue opere sono state scelte per prestigiose collettive a Parigi (Photographs D’Israel, Passage De Retz, 1996); Tokio (Exploring the Diversity, The 2nd Tokyo International Photo-Biennale, 1997); Gerusalemme (Exhibition of the winners of the award of the Ministry of Science, Culture and Sport, for Art and Design, Israel Museum, 2001). Nel corso della sua carriera ha ricevuto numerosi premi, tra i quali: Jane and George M. Jaffin Award, America-Israel Cultural Foundation (1991); The Leon Constantiner Photography Award for an Israeli Artist, Tel Aviv Museum of Art (2000); The Ministry of Science, Culture and Sport Award for Art and Design, Israel (2001); Dizengoff Prize for Painting and Sculpture (2013).
Auschwitz, Birkenau
Estate. Campo di sterminio di Birkenau. Sotto la rete bassa di un pollaio, che poggia sui resti di cemento spoglio, scintillano nella luce dei raggi del sole caldo, migliaia di cucchiai, forchette e orologi, ammucchiati alla rinfusa in una grande pila. Volgo il mio sguardo, piano piano, con un movimento rotatorio, da una torre di guardia a una torre di guardia. Silenziose e immobili esse ricambiano il mio sguardo. Allungo una mano tremolante attraverso una sottile fessura nella rete e afferro un cucchiaio che si è annerito con il tempo.
Di chi è questo cucchiaio?
Mercatino delle pulci
In uno spazio aperto fuori dal campo di lavoro di Dachau, si tiene, una volta a settimana, un mercatino delle pulci. Fila per fila, in un ordine che rasenta il disordine, sono disposti uno accanto all’altro banchi di legno, ogni banco con la sua merce. Vecchi apparecchi elettrici, strumenti musicali usurati, libri usati, vestiti, accessori militari in disuso, lettere del periodo della guerra, album di foto di famiglia e centinaia di foto sparpagliate all’interno di scatole di cartone, pentole, piatti, bicchieri, pasticcini, marmellate, frutta e verdura, coltelli, cucchiai e forchette. Sono in piedi accanto a un banco pieno di articoli per la casa. Un cucchiaio da minestra che si è annerito con il tempo attira la mia attenzione. Lo osservo a lungo. Mi parla in silenzio. Lo prendo delicatamente dal mucchio, faccio scivolare nelle mani del venditore la somma di denaro che ha chiesto e lo ripongo con cura all’interno dello zaino che porto sulla schiena.
Di chi è questo cucchiaio?
Mia madre
Quando è morta mia madre, mia madre la cui intera vita è stata un grande silenzio e ciotole fumanti di zuppa di pollo, l’ho cercato nel cassetto dell’armadio della camera da letto. Il cassetto in cui custodiva i pochi gioielli, vecchie foto, boccette di profumo, vari accessori da cucito, vecchie monete, un passaporto che raramente è stato utilizzato, documenti, lettere, lacci, medicine, caramelle avvolte in carta di cellophane colorata. In fondo al cassetto, avvolto in un panno di cotone bianco legato da un nastro, ho trovato un cucchiaio che è annerito con il tempo.
Di chi è questo cucchiaio?
Lo studio
Appoggio il cucchiaio su un tagliere ricoperto da sottili segni di lame di coltello e da una macchia di acqua che non si è asciugata. Nel profondo silenzio dello studio, lo osservo a lungo, e nella velocità della luce del flash, imprimo la sagoma del cucchiaio dentro l’abisso dell’emulsione della pellicola fotografica.
La foto
Nella luce rossa della camera oscura, faccio emergere le sagome del cucchiaio e del tagliere, impresse nel negativo, sulla superficie della carta fotografica e seguo con emozione il modo in cui pian piano salgono fino a diventare un’immagine in sfumature di grigio – l’essere di tempi che scorrono e si avvolgono l’uno con l’altro, testimonianza, natura morta.
Informaciones
Dal 18 gennaio al 12 febbraio 2023
dal martedì alla domenica ore 10.00-20.00
Ultimo ingresso un'ora prima della chiusura
Consultare la pagina Biglietti
Tel. 060608 (tutti i giorni ore 9.00 - 19.00) ù
L’esposizione, a cura di Giorgia Calò, è promossa da Roma Culture, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, Ambasciata di Israele in Italia, Comunità Ebraica di Roma. In collaborazione con la Fondazione Italia–Israele per la Cultura e le Arti. Sponsor tecnico Easylight.
Organizzazione Zètema Progetto Cultura.
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